Appassionati di sport! Quante volte vi è capitato di leggere sui giornali specialistici titoli come fallimento, disastro nel commento di certe partite della vostra squadra del cuore o del vostro atleta preferito? E quante volte la settimana prima, o quella successiva, i titoli per la stessa squadra, o giocatore potevano essere trionfo, dominio, grandiosa vittoria?

Con il presente articolo, certamente, non si intende criticare le derive sensazionalistiche della stampa sportiva, bensì capire quanto un risultato possa influenzare e oscurare il giudizio sulla performance, e analizzare perché ciò sia psicologicamente negativo per l’atleta.

Perché questo tema è importante e di interesse psicologico? Ci sono almeno due motivi.

1. Il primo è che in psicologia non si lavora mai direttamente sul risultato.
Nello specifico della psicologia dello sport, il lavoro mentale è uno strumento molto importante, tra i diversi a disposizione dell’atleta (il lavoro sulla tecnica, la corretta nutrizione, la preparazione fisica ecc…), per massimizzare la propria performance e la propria efficienza in gara.

Uno psicologo dello sport non può promettere, né mai dovrebbe farlo, un risultato sportivo (ad esempio l’oro olimpico, la vittoria di uno scudetto), in quanto quest’ultimo dipende anche da fattori esterni, in primis la bravura degli avversari.

2. Il secondo motivo è legato alla possibilità di concepire lo sport come una metafora di situazioni di vita.
Nella scuola questo è lampante e si manifesta attraverso il concetto di voto. Le performance di studio di un bambino, o un ragazzo, vengono valutate quasi quotidianamente da insegnanti e professori attraverso un numero.

Un numero, rispetto al quale, insegnanti e genitori possono esprimersi, a volte anche in maniera analoga ai titoli di giornali sportivi: “Sei un fallimento”, “Grandioso, che bravo!”.

In quel numero, in quel risultato, in quella vittoria o sconfitta, si analizza molto spesso solo l’esito finale, la riuscita o non riuscita. E di tutto il percorso, di tutto ciò che è legato alla performance, rimane solo l’equazione: se studi hai voti alti, se non studi hai voti bassi.

Ma ora facciamo un passo indietro.
Partiamo dalla definizione di psicologo dello sport: esso è uno psicologo specializzato che affianca atleti, allenatori e società attraverso lo sviluppo dell’abilità e della forza mentale al fine di incrementare la prestazione.

È un lavoro lento, faticoso, complesso, che si fonda sul raggiungimento di obiettivi parziali, step by step. Spesso è un lavoro che si porta avanti in contemporanea alle competizioni. È importante per l’atleta che sia un lavoro impostato su se stesso, sui propri obiettivi, ed è importante leggere il risultato sportivo in chiave di costruzione del lavoro.

In questo senso, è rilevante distinguere tra sport che hanno un determinato riferimento esterno e oggettivo (ad esempio nel nuoto o nelle gare di velocità, il tempo) e altri nei quali la propria performance è valutabile in maniera meno oggettiva ed dipende maggiormente anche dagli avversari.

Se un nuotatore può lavorare sul miglioramento del proprio tempo, e legare la sua performance a tale obiettivo, in una partita di tennis la possibilità di vincere o perdere è un insieme di fattori in cui non rientrano solo la capacità di servire bene, o la precisione nel rovescio.

Il singolo risultato può essere frutto di un exploit, di una serie di coincidenze fortunate, o sfortunate, mentre la costanza nel fornire performance di qualità, in continua ascesa, o il massimo della propria capacità, sono aspetti che lo sportivo ha la possibilità di allenare.

Questi sono i presupposti che garantiscono maggiori possibilità di conseguire il risultato atteso: la vittoria. Sono comunque dei presupposti, in una competizione nella quale tanti atleti offrono la loro migliore performance, e solo uno di loro potrà gustare il sapore della vittoria.

Il discorso diventa ancora più complesso se si tratta di sport di squadra, nei quali, oltre alle dinamiche di performance di ogni singolo atleta, concorrono diverse dinamiche collettive, alcune squisitamente psicologiche.


Prenderò ad esempio il calcio. Il calcio è uno sport collettivo (di squadra) ed anche open skills, ossia avviene in un contesto instabile, in cui in ogni singolo momento 22 giocatori prendono decisioni, si muovono in un campo erboso, spesso pieno di zolle irregolari, con la finalità di buttare un pallone, rotondo e relativamente leggero oltre una linea di porta.

Si gioca all’aperto, in condizioni sempre differenti di vento, umidità, temperatura, meteo. Le occasioni per modificare il punteggio sono poche, e pure l’arbitro ha un peso decisionale enorme (anche con l’introduzione della tecnologia ci sono difformità di giudizio e imprecisioni, a volte gravi).

È uno sport decisamente caotico, e forse, proprio per via della sua imprevedibilità, piace così tanto. Il lavoro che ogni squadra professionista porta avanti quotidianamente è molto variegato, altamente professionale: tutto per preparare al meglio 90 minuti di caos.

Il lavoro dello psicologo dello sport in ambito calcistico, va quindi ad agire sia sull’individuo e sia sulla collettività. L’obiettivo è di migliorare, step by step, obiettivo dopo obiettivo, le possibilità di vittoria del proprio team, pur non potendola garantire, con certezza assoluta.

Vedere il lavoro di uno sportivo o di una squadra in una cornice di prestazione -tanto individuale quanto collettiva- piuttosto che esclusivamente di ottenimento di vittorie concrete, è ciò di cui si occupa nei fatti lo psicologo dello sport, ma è anche una mentalità che vira con il pensiero legato alla cultura popolare nel nostro Paese.

Il risultato spesso influenza e oscura il giudizio sulla performance, diventando un aspetto totalizzante nella vita di uno sportivo.

Simili ragionamenti possono produrre nell’atleta risvolti psicologici negativi, con conseguenti rischi rispetto alla prestazione stessa, e ai risultati finali. Al contrario, un tipo di lavoro orientato alla performance può produrre diversi benefici a livello mentale.

Un ulteriore elemento da considerare è la possibilità di alimentare false credenze rispetto a quanto accaduto durante la prestazione agonistica. Questo aspetto non aiuta il processo di analisi completa di tutte le componenti legate ad una performance.

In ogni gara, vincente o perdente, l’atleta mette in evidenza diversi elementi positivi e negativi. La consapevolezza di tali elementi nella propria prestazione e la loro rielaborazione sono dei passaggi fondamentali per consentire allo sportivo un continuo processo di crescita e di miglioramento, che non si arresti mai.

Sono degli step che permettono di lavorare su sotto-obiettivi specifici, parziali, dettagliati e quantificabili. Una cosa fondamentale, infatti, per poter raggiungere il successo è una adeguata strategia di goal setting, ovvero di definizione di tali obiettivi.

Gli obiettivi di prestazione aiutano l’atleta a sostenere un buon livello di motivazione intrinseca, migliorare l’attenzione e la concentrazione, aumentare il proprio senso di autoefficacia: tutti elementi che concorrono a una migliore preparazione per la gara successiva, aumentando i presupposti per un risultato vincente.

Utilizzando la metafora dello sport, si può applicare lo stesso ragionamento anche nel contesto del lavoro e delle organizzazioni.

Un rischio psicologico importante, per un atleta orientato solo al risultato, è legato alle fluttuazioni pindariche della propria autostima, e più in generale nell’immagine di Sé. Possibili crolli nell’autostima possono portare a stati depressivi.

Tali momenti sono molto pericolosi per lo sportivo, sia da un punto di vista psicologico sia da un punto di vista fisico. Un basso stato umorale si lega a una minore spinta motivazionale in allenamento e ad una minore perseveranza. Inoltre, si lega a maggiori rischi di infortunio e ad una minor attenzione nella cura del proprio corpo, “l’oggetto” fondamentale di ogni atleta, il suo cuore pulsante.

Il lavoro orientato sulle competenze, infine, aiuta a stabilire un clima motivazionale più piacevole ed efficace. Gli errori sono visti come parte di un processo di apprendimento, l’impegno e lo sviluppo personale (e professionale) sono valori di grande importanza e permettono all’atleta di persistere maggiormente di fronte alle difficoltà, di essere più resiliente.

Di contro, un clima motivazionale orientato alla competizione e al risultato pone l’accento sugli alibi, sul continuo paragone con gli altri e sul continuo dover dimostrare di valere di più degli altri, perdendo tutti i benefici illustrati precedentemente.

Il lavoro dello psicologo dello sport è spesso influenzato dalla convinzione, nella cultura sportiva, che il risultato sia l’unica cosa importante, e ciò complica ulteriormente la creazione di un’alleanza lavorativa sia con gli atleti, sia con i tecnici.

Di conseguenza, uno dei primi e principali step di lavoro del professionista psicologico deve essere quello di chiarire il corretto obiettivo del proprio operato: tutti gli strumenti che verranno utilizzati, e tutto il lavoro proposto, dovrà, per i motivi sopra esposti, essere sempre mirato alla performance ottimale dell’atleta.

Questo discorso non sminuisce l’importanza del risultato positivo, la vittoria, che è ciò che tutti vogliono raggiungere. Lavorare secondo questa modalità, e secondo questi obiettivi, ha infatti come scopo finale di garantire agli atleti il maggior numero di strumenti efficaci al raggiungimento del risultato e all’accettazione positiva e propositiva dell’eventuale sconfitta.

Un passaggio fondamentale per rimanere sempre focalizzati nel lavoro da compiere ed essere maggiormente preparati al raggiungimento di risultati futuri, perché il focus attentivo resta sempre puntato sul lavoro e sulla creazione dei giusti presupposti.

Per questo motivo, riprendendo la metafora dello sport in ambito educativo e formativo, l’applicazione di questo concetto rappresenterebbe un’efficace modalità per favorire i giovani studenti a dare il meglio di loro stessi, a investire nelle loro capacità, portando inevitabilmente a risultati migliori, positivi sia nel breve sia a lungo termine.

“Avrò segnato undici volte canestri vincenti sulla sirena, e altre diciassette volte a meno di dieci secondi alla fine, ma nella mia carriera ho sbagliato più di 9.000 tiri. Ho perso quasi 300 partite. Per 36 volte i miei compagni si sono affidati a me per il tiro decisivo… e l’ho sbagliato. Ho fallito tante e tante e tante volte nella mia vita. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto”.
– Micheal Jordan

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Tommaso Centrone
Sono laureato in Psicologia Clinica, dello Sviluppo e Neuropsicologia in Bicocca, ho conseguito un Master in Psicologia dello Sport, e sono istruttore minibasket presso le società Basket Cernusco e Centro Schuster. Ho sostenuto l’Esame di Stato e sono in attesa dell’iscrizione all’Albo. Collaboro, come esperto sportivo, con i Consultori Familiari della Fondazione Centro per la Famiglia Carlo Maria Martini per il progetto scolastico Sporting Skills, progetto che utilizza lo sport come metafora, e l’attività fisica come veicolo di lavoro sulle Life Skills. Collaboro con la dott.ssa Sara Bordo per la realizzazione dell’app Perform Up, applicazione di mental training per giocatori di tennis e di golf. Il mio obiettivo, a breve termine, è iniziare a lavorare sul campo come psicologo dello sport. Contatto: tommaso.centrone@yahoo.it

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