Se dovessimo pensare a quali siano i grandi temi odierni che sono oggetto di ricerca clinica potremmo facilmente pensare che il trattamento del trauma sia uno di questi.

Ciò è deducibile sia dalla mole di articoli e libri che sono stati scritti sulla tematica, questi ultimi sempre ai primi posti nella classifica delle vendite, e sia dagli effetti che questo interesse sta producendo: uno di questi è stato il recente e importante inserimento all’interno dell’undicesima edizione dell’International Classification of Deseases (ICD) della diagnosi di Disturbo da Stress Post-Traumatico Complesso (DSPT-C).

Considerando quante battaglie e dibattiti si sono combattuti nei decenni scorsi in merito a tale diagnosi, è degno di nota che questa sia stata accettata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

Tuttavia, il fatto che ad oggi l’American Psychiatric Association (APA) persista, per ora, convinta di non ammettere tale categoria diagnostica all’interno dell’DSM, altro manuale diagnostico fondamentale, dovrebbe farci riflettere su quanto si stia procedendo con cautela.

Ma la confusione non aleggia solo attorno al concetto di trauma complesso, DSPT-C, ma anche in merito al trauma inteso nella sua concezione di Disturbo da Stress Post-Traumatico (DSPT), pur essendo quest’ultimo riconosciuto da tutti i più importanti sistemi diagnostici.

Oggi, infatti, a seguito di una rivoluzione iniziata negli anni 70’-80’, ci ritroviamo nella situazione in cui tanti approcci terapeutici hanno cercato di identificare un metodo proprio per curare il trauma nelle sue diverse forme.

Tuttavia, i dati a nostra disposizione ci forniscono poche certezze su quali siano i meccanismi di cambiamento che rendono efficaci queste terapie e diverse meta-analisi hanno dimostrato che, nonostante la presenza di numerosi trattamenti, non vi sono tra loro sostanziali differenze in termini di efficacia (Benish, Imel & Wampold, 2008; Frost, Laska & Wampold, 2014; Gerger, Munder & Barth, 2014; Gerger et al., 2014; Powers et al., 2010; Tran & Gregor, 2016).

Come orientarsi quindi in questo incerto territorio? Una prima iniziale risposta ce la fornisce Giancarlo Dimaggio, uno dei più importanti psicoterapeuti cognitivisti italiani, curatore del libro “Affrontare il trauma. Verso una Psicoterapia Integrata”, edito ApertaMenteWeb.

Il manuale è così composto: all’interno di ogni capitolo, firmato ciascuno da eminenti studiosi del panorama della ricerca, viene descritto un particolare approccio terapeutico. In questo modo il lettore ha la possibilità di farsi un’idea del ventaglio completo, o quasi, di tutte le terapie oggi disponibili per il trattamento del trauma, sia semplice che complesso.

Dico quasi perché nel libro, in realtà, sono descritti unicamente quegli approcci che hanno superato le prove di efficacia scientifica, tranne qualche eccezione. Ciò da un lato è sicuramente un bene in quanto è importante sottolineare che qualsiasi intervento debba basarsi su una solida base scientifica, così da poter discriminare tra approcci, tecniche o interventi funzionali, iatrogeni o non impattanti in modo significativo.

Dall’altro lato però, considerando anche il grado di incertezza delle conclusioni tratte fino ad oggi, pare un peccato, visto anche l’intento presente nel titolo, non menzionare alcune delle teorie di grande interesse o quegli approcci che pur non essendo stati esaminati così a fondo dal punto di vista della ricerca, sono però di fatto molto utilizzati e apprezzati in ambito clinico.

Parlo per esempio della Psicoterapia Sensomotoria di Pat Ogden, della Somatic Experiencing di Peter Levine, delle concettualizzazioni raccolte nella Teoria della Dissociazione Strutturale di Onno van der Hart, Ellert Nijenhuis e Kathy Steele e della Teoria Polivagale di Stephen Porges, sebbene alcuni degli assunti fondamentali di quest’ultima siano stati recentemente molto criticati (link 1, link 2).

Di conseguenza, nonostante al lettore sia comunque data la possibilità di esplorare i diversi approcci, al tempo stesso la percezione è quella di trovarsi in mezzo al mercato dell’evidence-based: la domanda che ci si pone scorrendo le pagine è “quale pesce pigliare?” mentre, riflettendoci su, avrebbe dovuto essere “possiamo fare un fritto misto?”.

Gli autori paiono inoltre molto impegnati a valorizzare i propri successi (ogni sardina è bella al pescivendolo suo) senza mai citare, come ricorda Wampold nel suo chiarificante capitolo, il dato saliente sopra riportato e cioè che tutti gli interventi funzionano in egual modo.

Inoltre, ammonisce sempre Wampold, nessuno menziona l’importanza che ogni terapia attribuisce ai terapeuti e al fatto che per somministrare trattamenti efficaci siano necessari terapeuti qualificati e competenti, i quali comunque possono produrre risultati variabili a parità di formazione (Laska et al., 2013).

Sarà quindi un caso che tutti si prodighino a baccagliare su quanto sia bello e buono il proprio trattamento omettendo però che alla prova del cuoco tutto può cambiare?

Difficile pensare ad un’integrazione quando ogni modello invece di informare scientificamente si occupa di fare marketing senza però riuscire “a presentare una prova che illumini i meccanismi di cambiamento, creando così un pregiudizio di conferma” (pp. 86).

Infatti, “ignorare i risultati che disconfermano le proprie ipotesi aumenta lo status di determinati trattamenti e oscura altri possibili meccanismi di cambiamento, come i fattori comuni” (pp. 87; Wampold & Imel, 2015).

Di conseguenza, ritengo che il libro curato da Giancarlo Dimaggio offra un’istantanea di quello che è oggigiorno il panorama della ricerca e della clinica evidence-based sul trauma. Questo scatto è assolutamente attendibile poiché raccoglie tutte le più importanti conoscenze del fare terapia sul trauma che siano state sottoposte al vaglio della scienza, e contemporaneamente offre lo spazio per riflettere criticamente sul sistema markettaro delle psicoterapie.

Per rispondere quindi alla domanda iniziale mi affido di nuovo alle parole di Wampold: “che lo dichiarino oppure no, tutte queste terapie sono integrative” (pp. 84). L’Autore ha, infatti, identificato diciassette possibili elementi importanti per curare il PTSD, per la maggior parte compresenti in numerosi approcci: un razionale della terapia stringente, una relazione che promuove un senso di sicurezza, rispetto e fiducia, la psicoeducazione sul PTSD, la possibilità di parlare del trauma, dare un senso all’evento traumatico, l’esposizione al ricordo traumatico e altri (Wampold et al, 2010).

Pertanto, è già in atto una prima forma di integrazione, sicuramente non sufficiente e in parte (inconsapevolmente?) ostacolata da interessi personali, ma che in futuro possiamo augurarci venga portata avanti e ulteriormente sviluppata nell’ottica di orientarsi sempre più verso quella che Giovanni Liotti definiva una “psicoterapia senza aggettivi”, con l’unico interesse di giovare alle persone dietro la patologia.

Bibliografia

Benish, S. G., Imel, Z. E., & Wampold, B. E. (2008). The relative efficacy of bona fide psychotherapies for treating post-traumatic stress disorder: A meta-analysis of direct comparisons. Clinical psychology review, 28(5), 746-758.

Dimaggio, G. (2021). Affrontare il trauma. Verso una psicoterapia integrata. Apertamenteweb.

Frost, N. D., Laska, K. M., & Wampold, B. E. (2014). The evidence for present‐centered therapy as a treatment for posttraumatic stress disorder. Journal of traumatic stress, 27(1), 1-8.

Gerger, H., Munder, T., & Barth, J. (2014). Specific and nonspecific psychological interventions for PTSD symptoms: A meta‐analysis with problem complexity as a moderator. Journal of Clinical Psychology, 70(7), 601-615.

Gerger, H., Munder, T., Gemperli, A., Nüesch, E., Trelle, S., Jüni, P., & Barth, J. (2014). Integrating fragmented evidence by network meta-analysis: Relative effectiveness of psychological interventions for adults with post-traumatic stress disorder. Psychological Medicine, 44(15), 3151-3164.

Laska, K. M., Smith, T. L., Wislocki, A. P., Minami, T., & Wampold, B. E. (2013). Uniformity of evidence-based treatments in practice? Therapist effects in the delivery of cognitive processing therapy for PTSD. Journal of counseling psychology, 60(1), 31.

Powers, Mark B., Jacqueline M. Halpern, Michael P. Ferenschak, Seth J. Gillihan, and Edna B. Foa. “A meta-analytic review of prolonged exposure for posttraumatic stress disorder.” Clinical psychology review 30, no. 6 (2010): 635-641.

Tran, U. S., & Gregor, B. (2016). The relative efficacy of bona fide psychotherapies for post-traumatic stress disorder: a meta-analytical evaluation of randomized controlled trials. BMC psychiatry, 16(1), 1-21.

Wampold, B. E., & Imel, Z. E. (2015). The great psychotherapy debate: The evidence for what makes psychotherapy work. Routledge.

Wampold, B. E., Imel, Z. E., Laska, K. M., Benish, S., Miller, S. D., Flűckiger, C., … & Budge, S. (2010). Determining what works in the treatment of PTSD. Clinical psychology review30(8), 923-933.

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