In questo anno di pandemia quante volte ci è capitato di incontrare qualcuno, coperto dalla mascherina e non riconoscerlo? La mascherina copre parte del volto e quindi anche le caratteristiche che il cervello usa per riconoscere chi si ha di fronte.

Quello che ci sembra un fastidioso inconveniente momentaneo dovuto all’uso delle mascherine, per altre persone invece è un disturbo neuropsicologico che li accompagna sempre: la prosopagnosia.

La prosopagnosia é un disturbo che consiste nell’impossibilità di riconoscere i volti di persone conosciute, sia che essi siano amici, parenti, conoscenti o personaggi pubblici.

Nei casi più gravi il soggetto può arrivare a non riconoscere addirittura il proprio volto.

Riconoscere i volti è sicuramente un aspetto essenziale per la vita. Nel nostro cervello c’è addirittura un’area specifica implicata proprio nel riconoscimento dei volti: l’area fusiforme delle facce (FFA), che se danneggiata può dare questo disturbo (anche se non è l’unica causa).

Solitamente, quando incontriamo qualcuno il nostro cervello fa un confronto tra ciò che “vede” e ciò che ha in memoria. Se trova una corrispondenza allora avviene il riconoscimento, altrimenti viene concluso che siamo di fronte a uno sconosciuto.

Pensate alle implicazioni pratiche: se so chi ho di fronte, posso accedere a tutta una serie di informazioni riguardo a quella persona, come la sua identità, il lavoro che fa, quale tipo di relazione abbiamo (etc.) e questo mi permette di avere una conversazione con l’altro, di modulare il mio comportamento sulla base del grado di conoscenza.  

Chi è affetto da prosopagnosia non ha un problema visivo, vede benissimo il naso, la bocca, gli occhi di chi ha di fronte, solo non riesce a unire le informazioni visive in una configurazione unica del volto. In altre parole possiamo dire che vede una serie di dettagli ma non “l’insieme”.

E quindi come fanno queste persone a sapere chi hanno di fronte?

Le persone con prosopagnosia non sono in grado di riconoscere volti su base visiva, ma possono riuscire a capire l’identità di chi hanno di fronte da altri dettagli e altri canali: per esempio possono riconoscere l’identità della persona dal suono della voce oppure da un particolare del volto o una caratteristica distintiva (i baffi, gli occhiali).

Se volete fare un esercizio di immedesimazione provate a chiedere a qualcuno di scegliere una foto di un volto (amici, parenti, attori, chi volete) e mostrarvela capovolta.

Riuscite a identificare con facilità l’identità del soggetto in foto? Probabilmente il riconoscimento sarà più difficoltoso, questo perché l’effetto inversione obbliga il vostro cervello a cambiare strategia e passare a una modalità più analitica, a analizzare le singole parti del volto.

Riconoscere chi abbiamo di fronte ha ovviamente un enorme valore per la vita dell’individuo. Pensate alle difficoltà che potreste riscontrare nella vita famigliare, sociale o lavorativa se non riconosceste chi avete di fronte.

A volte se vedo qualcuno e non sono sicuro di conoscerlo, cerco di tenermi alla larga e spero che non mi veda, perché non saprei come comportarmi” così parla un partecipante dello studio di Yardley e colleghi (2008).

Dallo studio è emerso che tra gli adulti affetti da prosopagnosia le difficoltà nelle interazioni sociali hanno generato ansia, imbarazzo, senso di colpa. Spesso questi sentimenti comportano la messa in atto di comportamenti di evitamento di situazioni sociali (come riunioni di lavoro, incontri con amici e parenti), determinando per esempio isolamento o difficoltà nell’intrecciare relazioni.

La prosopagnosia mi rende meno interessato agli eventi sociali, al festeggiare, al conoscere nuove persone perché ciò mi offre tutta una serie di cose che sbaglierò

È difficile creare una forte connessione con qualcuno, richiede molti incontri…anni prima che tu possa davvero conoscere qualcuno, così diventi un po’ escluso”.

La prosopagnosia è un disturbo che si può manifestare in seguito a lesioni cerebrali, ma esiste anche la sua forma congenita. Un famoso studio (Dalrymple e colleghi, 2014) ha infatti coinvolto alcuni bambini affetti da prosopagnosia congenita, presente quindi dalla nascita.

Immaginate la sensazione di non riconoscere gli amici, il compagno di banco o l’insegnante e di dover procedere per tentativi o tramite strategie. In quest’ottica rapportarsi con il gruppo dei pari o agli insegnanti diventa una grossa fatica.

Come nel caso degli adulti, anche i bambini ricorrono a diverse strategie per cercare di dare un nome ai volti. Nello studio sopracitato è emerso che alcuni chiedevano direttamente il nome, altri cercavano di ricordare a chi erano associate certe caratteristiche fisiche, altri di ricordare i vestiti o focalizzarsi sulla forma del viso.

Tutto quello che devo fare per trovare la Holly “giusta” è guardare entrambe le Holly e dire ok, voglio quella con la camicia a righe, pelle chiara, i capelli come i miei e nessun braccialetto” dice Lorraine,
raccontando la sua strategia per riconoscere la sua amica.

Ovviamente l’utilizzo di particolari fisici non sempre si rivela essere una strategia di successo, per il semplice fatto che le persone possono cambiare alcuni elementi del proprio aspetto (come il taglio dei capelli, montatura degli occhiali, tagliarsi o farsi crescere la barba): 

“La mia insegnante di matematica si è tagliata i capelli e mi ha confuso molto”, racconta John.

Nonostante le strategie applicate, l’incapacità di riconoscere i volti, di sbagliare i nomi dei compagni e le difficoltà di interazione conseguenti hanno determinato nei bambini sentimenti di imbarazzo, frustrazione e a volte comportamenti di evitamento da situazioni sociali, determinando quindi un impatto negativo nella loro vita (Dalrymple et al., 2014).

Come si può notare dai brevi spezzoni di interviste riportate, questo disturbo ha un forte impatto in tutti i contesti di vita, a lavoro, a scuola e nella vita sociale e familiare. Infatti la maggior parte delle situazioni che ognuno di noi affronta quotidianamente comportano un’interazione con qualcuno.

Comportamenti come l’evitamento e l’isolamento sono chiari segni del disagio provocato da questo disturbo. L’impatto della prosopagnosia dipende sicuramente da più fattori, tra cui primariamente la presenza del disturbo in una forma più o meno grave.

Un altro fattore rilevante, come dimostrano le testimonianze sopracitate, è sicuramente rappresentato dalle strategie di riconoscimento che le persone imparano a mettere in atto. Alcune di esse possono essere funzionali al riconoscimento, come per esempio usare canali diversi da quello visivo (per esempio tramite il suo della voce), altre meno, perché basate su elementi che sono troppo mutevoli per essere degli elementi distintivi dell’altro.

Non c’è una soluzione definitiva per questo disturbo. Ad oggi però alcuni studi hanno sperimentato (e continueranno a farlo) dei training per migliorare la capacità di riconoscimento nei soggetti affetti da prosopagnosia. La ricerca in questo ambito rimane aperta.

BIBLIOGRAFIA:

Bruce, V., & Young, A. (1986). Understanding face recognition. British journal of psychology77(3), 305-327.

Dalrymple, K. A., Fletcher, K., Corrow, S., das Nair, R., Barton, J. J., Yonas, A., & Duchaine, B. (2014). “A room full of strangers every day”: The psychosocial impact of developmental prosopagnosia on children and their families. Journal of psychosomatic research77(2), 144-150.

Gazzaniga, S., Ivry, B. & Mangun, R. (2005). Neuroscienze cognitive. Zanichelli.

Vallar, G., & Papagno, C. (2005). Manuale di neuropsicologia clinica: Clinica ed elementi di riabilitazione. Il Mulino.

Yardley, L., McDermott, L., Pisarski, S., Duchaine, B., & Nakayama, K. (2008). Psychosocial consequences of developmental prosopagnosia: A problem of recognition. Journal of psychosomatic research65(5), 445-451.

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Irene Cazzaniga
Piacere, sono Irene! Mi sono laureata in psicologia clinica e neuropsicologia nel ciclo di vita presso l’università di Milano Bicocca. In passato ho fatto diverse esperienze nell’ambito dei minori, sia tramite un tirocinio presso una comunità mamma-bambino, sia tramite esperienze di volontariato. Attualmente sono una volontaria presso una cooperativa sociale che propone percorsi di ippoterapia per bambini e ragazzi. Amo i film, i libri e la fotografia e credo nel loro grande potere comunicativo. Attualmente sto svolgendo il tirocinio post lauream presso un reparto di neuroriabilitazione cognitiva, nel quale ho modo di fare esperienza del mondo dell’adulto, sia dal punto di vista del disagio psicologico che della riabilitazione neuropsicologica. La neuropsicologia in particolare è un’area che mi interessa a livello professionale. Contatti: irene.cazzaniga93@gmail.com

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