Complesso. È l’aggettivo che meglio descrive l’ultimo libro pubblicato da Raffaello Cortina Editore del professor Cesare Maffei. Un approfondimento della teoria già resa nota dalla celebre Marsha Linehan, fondatrice della Dialectical Behavioral Therapy – DBT, trattamento d’elezione per i disturbi di personalità, in particolare borderline, ma non solo.

Approcciandosi a questo libro, ci si potrebbe chiedere se fosse necessario addentrarsi in un quadro così intricato di concetti e teorie, poiché numerose sono le premesse prima di giungere al nocciolo della questione.

Forse sì. Se si vuole affrontare un tema complesso, come lo è notoriamente la personalità borderline, è necessario un impianto teorico altrettanto complesso. Tuttavia, se la finalità è quella di chiarire senza semplificare, non so se l’obiettivo sia stato pienamente raggiunto.

Ad ogni modo, il titolo del libro già illustra il punto di vista da cui si pone l’autore: partire dalla psicopatologia della personalità per andare oltre, espandere il campo visivo per una comprensione che non resti compressa nelle etichette diagnostiche – molto comode, ma poco utili.

Difatti il professor Maffei illustra come, per spiegare una fenomenologia così eterogenea, occorra una teoria che colga la processualità attraverso cui si approda alla psicopatologia, prendendo in prestito da altri approcci importanti concetti come quello di “multicausalità” e “equifinaltà”.

Allo stesso modo, entrare in un’ottica sistemica diviene necessario per non delegare al solo individuo la responsabilità del proprio disagio, che, invece, costituisce la risultante dell’intersezione di diverse variabili. In particolare, viene sottolineata la dimensione sociale e temporale, perché gli eventi di vita si verificano sempre in un “dove” e un “quando” che, se modificati, possono cambiare tutto.

Viene quindi proposta la teoria sistemica dialettica come ipotesi esplicativa della traiettoria evolutiva della personalità borderline, che si configura come un fallimento nelle dinamiche dialettiche normalmente presenti nello sviluppo dell’individuo.

Tra i meccanismi che contribuiscono a questo fallimento, due risultano determinanti. Il primo è la vulnerabilità emozionale, ovvero, una maggiore sensibilità e reattività del bambino (poi adulto) a determinati stimoli di natura emotiva. Concetto strettamente legato alla disregolazione emotiva e, quindi, comportamentale.

“[…] egli si trova costantemente in una condizione di caos emozionale, supportata dalle marcate difficoltà nell’acquisizione di consapevolezza e nel corretto etichettamento di ciò che prova. È evidente che questa situazione, già da sola, possa mettere l’individuo in estrema difficoltà a livello di gestione emozionale, con il rischio che propenda per la selezione di strategie disfunzionali di regolazione […]” (pag.185).

Il secondo fattore consiste nell’essere inseriti sin dall’infanzia in un ambiente invalidante, cioè un contesto in cui pensieri e affetti vengono continuamente criticati, banalizzati, puniti, instillando nel bambino l’idea di non avere il diritto di poter essere così come è.

“La validazione da parte dell’ambiente è quindi il mezzo attraverso cui il bambino è primariamente in grado di appropriarsi di sé, nella relazione con sé stesso e con la realtà. L’invalidazione è invece la causa prima dell’alienazione da sé, come incapacità di appropriarsi di sé attraverso l’appropriazione delle realtà” (pag.193).

Questi due meccanismi finiscono per incastrarsi in una dinamica psicopatologica che si autoalimenta in un circolo vizioso, determinando un forte dilemma dialettico per cui il bambino, non potendosi allontanare da questo ambiente, finirebbe per dovervisi adattare autoinvalidandosi.

Si lascia al lettore l’approfondimento di questi aspetti attraverso un’attenta e ripetuta lettura dei paragrafi del libro che, tra gli altri contributi, offre un excursus su diverse ricerche empiriche e un approfondimento anche dal punto di vista delle neuroscienze.

Un’interessante lettura che sottolinea la natura sistemica dell’eziologia della personalità borderline arriva da un’interpretazione originale di un dato a tutti noto: la maggiorparte delle persone a cui è stata attribuita questa diagnosi sono donne.

Che cosa significa? Che vi è una prevalenza di genere? Che ci sono disturbi tipicamente femminili e altri tipicamente maschili?

Il contributo innovativo, lanciato primariamente dalla stessa Linehan, consiste nell’aver ipotizzato che questi dati riflettano in realtà lo svantaggio di genere che le donne subiscono nella nostra società occidentale. Che quindi il problema non sia “l’essere donna”, ma l’”essere donna, in occidente, in questo determinato periodo storico”, il che cambia decisamente la questione.

Perché in queste condizioni la logica femminile risulta perdente, sebbene non necessariamente sbagliata. Valori come la comprensione, la reciprocità, l’intimità relazionale, la connessione reciproca con gli altri, quale posto possono avere in una società in cui l’individualismo e l’autoaffermazione sembrano essere la formula per la felicità?

“Se però all’interno di una certa cultura alcune caratteristiche attribuibili a un genere, e che quella stessa cultura ha contribuito a generare, vengono poco apprezzate in quanto poco rispondenti ai suoi standard, il risultato è che la cultura patologizza ciò che non risponde alle proprie aspettative di adattamento e di funzionalità sociale.” (pag.196).

In conclusione, si consiglia la lettura del libro del professor Maffei a tutti coloro che non si fanno spaventare dall’immergersi nella complessità; dal tollerare la presenza di contraddizioni a volte apparenti, a volte irrisolvibili; dallo spostare continuamento lo sguardo dal particolare al generale; dal mantenere aperta la mente a nuove possibilità di comprensione della realtà umana.

BIBLIOGRAFIA

Cesare Maffei. Oltre la personalità. Dialettica sistemica e sviluppo borderline. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2021.

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Serena Carpo
Sono Serena (di nome, di fatto ci provo). La scelta di diventare psicologa è nata dalla mia curiosità verso la straordinarietà della mente umana e dall’incapacità di rassegnarmi all’idea che la sofferenza sia qualcosa di inutile. Mi sono laureata in Psicologia Clinica, dello Sviluppo e Neuropsicologia presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Il mio futuro professionale è un work in progress. Il tirocinio presso la neuropsichiatria infantile dell’ASL della mia zona (un paese lacustre del Piemonte) ha fatto nascere in me il germe di un progetto: rendere il diritto alla salute, fisica e mentale, un bene accessibile e di qualità. Svolgo un’attività di volontariato che, oltre a costituire un grande arricchimento umano, considero come un vero osservatorio dei bisogni del territorio e un’ottima palestra di ascolto. Conosco la lingua dei segni (LIS), amo scrivere, disegnare e pensare in modo creativo. Credo in diverse cose, tra cui una psicologia vicina alla persona, che abbia il rigore della ricerca e la veridicità della clinica, che sia un lavoro fatto con passione e che non si dimentichi di essere a servizio dell’altro. Contatti: s.carpo@hotmail.com

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