Tutti i terapeuti vivono momenti di pressione: quelli segnati da scoppi emotivi, come un accesso di ansia quando il paziente minaccia di farsi del male, un lampo di stizza quando è altezzoso o critico, un moto di disperazione quando niente sembra funzionare; oppure esperienze prolungate, come lo sforzo di rimanere attenti quando un paziente parla molto a lungo” (pag. 10).

In tutti questi momenti possono verificarsi delle rotture nella relazione tra paziente e terapeuta e tali rotture intaccano l’alleanza terapeutica.

Che cosa è l’alleanza terapeutica? “Dirigere l’attenzione in modo condiviso verso una meta del processo di cura che il paziente tenta di raggiungere e il terapeuta trova ragionevole” (Dimaggio, p. XI)

E che succede quando l’alleanza si rompe? Beh entrambi, paziente e terapeuta, corrono un bel rischio in quanto c’è la possibilità che la loro relazione naufraghi e ne risenta l’efficacia del trattamento. L’estrema conseguenza può essere il dropout del paziente.

In termini tecnici, le rotture sono “segnali di un aumento della tensione o del conflitto tra i rispettivi desideri e bisogni di pazienti e psicoterapeuti” (Safran & Muran, 2000, in Muran & Eubanks, 2022, p. 13).

Partendo da questi presupposti verrebbe spontaneo pensare che i terapeuti debbano evitare il più possibili di incorrere in rotture dell’alleanza e che queste rappresentino il segnale che il procedere della terapia rischia di subire un arresto.

Ciò è vero solo in parte e difatti, sebbene le rotture segnalino una “crisi nella collaborazione intenzionale e un deterioramento nel legame emotivo tra paziente e terapeuta” (p. 13), in realtà, se colte con destrezza, potrebbero rivelarsi proprio dei punti di svolta all’interno del percorso terapeutico.

Questo hanno affermato Jeremy D. Safran e John Christopher Muran già nel 2000 e più recentemente Muran e Catherine F. Eubanks (2022) nel loro ultimo libro: Il terapeuta sotto pressione. Riparare le rotture dell’alleanza terapeutica. Edito Raffaello Cortina.

A differenza di molti altri approcci, come quello psicoanalitico e cognitivo classico, nei quali il terapeuta dedica minore attenzione alla relazione tra sè e il paziente, nella prospettiva descritta dagli Autori è fondamentale che egli si interroghi su quanto accade in seduta:

Ciò significa ampliare il focus dell’intervento dai soli processi intrapsichici del paziente a ciò che accade all’interno della relazione terapeutica.

Dal punto di vista teorico, si parte dal presupposto che in seguito alle prime esperienze relazionali con le figure di attaccamento, le persone acquisiscano degli schemi interpersonali che assumono la forma di rappresentazioni della relazione tre sé e l’altro, le quali contengono “memorie di come ci si sente quando si produce l’interazione codificata dallo schema” (Semerari, 2022, pag 187).

Inoltre, all’interno di questi schemi è possibile rintracciare dei pattern di comportamento che entrano in gioco per gestire le situazioni percepite come avverse: i cicli cognitivi interpersonali.

Lavorare terapeuticamente sulla relazione significa quindi, secondo Safran e Muran (2000), riconoscere nel qui ed ora della seduta, all’interno degli scambi relazionali tra paziente e terapeuta, quei cicli interpersonali disfunzionali, ovvero quei modi di agire del paziente che dovrebbero proteggerlo da situazioni interpersonali spiacevoli ma che in realtà lo mantengono in uno stato di sofferenza.

Una volta fatto ciò è possibile operare una esperienza correttiva volta alla modifica degli schemi interpersonali.

Quando il paziente agisce i propri cicli interpersonali disfunzionali ecco che aumentano le probabilità di di rottura dell’alleanza terapeutica. Come riconoscere che siamo di fronte ad una rottura dell’alleanza?

Muran e Eubanks, nel loro libro, individuano due macrocategorie che possono combinarsi tra loro:

  1. le rotture di ritiro, ovvero quando il paziente si sottrae ad alcuni aspetti della propria esperienza allo scopo di mantenere salda una relazione (es. nega alcuni bisogni per paura di perdere l’altro);
  2. le rotture di confrontazione, che corrispondono invece a veri e propri scontri nei quali il paziente aggredisce l’operato del terapeuta o cerca di prendere il controllo della relazione.

Cosa può fare un terapeuta durante una fase di rottura dell’alleanza? Sicuramente imparare a lavorare sotto pressione!

Ciò significa, secondo gli Autori, accettare che le rotture possano presentarsi come una normale componente di un processo terapeutico, riconoscere i sentimenti che emergono all’interno di quella specifica interazione ed esimersi dall’agire impulsivamente sull’onda delle emozioni del paziente.

Egli potrebbe, infatti, offrire risposte supportive o avere un atteggiamento accudente quando un paziente si ritira, confermandogli la percezione di aver bisogno di essere rassicurato e di non riuscire a dare una direzione autonoma alla propria vita.

In questi casi, Muran e Eubanks suggeriscono piuttosto di esplorare assieme al paziente i suoi tentativi di evitare la collaborazione in terapia con lo scopo di dare voce ai suoi bisogni e quindi di farsi promotore in prima persona delle proprie necessità.

Nelle situazioni in cui invece viene agita una rottura di confrontazione, il terapeuta può supportare il paziente nell’esplorare la rabbia e le altre emozioni avverse, legittimando la delusione sottostante.

Il rischio per il terapeuta potrebbe essere quello di reagire in maniera simmetrica al paziente, rispondendo con un assetto competitivo alle sue provocazioni. Diversamente, si dovrebbe ricercare la collaborazione all’interno di una dinamica che muove verso la rottura.

Qualunque sia il tipo di rottura, lo scopo di questi interventi è quello di rendere più consapevole il paziente “su come gestire altri rapporti personali” (p. 55)

Secondo Muran e Eubanks, è possibile quindi esplicitare al paziente il reiterarsi dei cicli interpersonali per renderlo conscio di come questi siano connessi alle sue esperienze passate, senza però sottrarsi prima all’esplorazione della sua esperienza di allontanamento/contrapposizione nel qui ed ora dello scambio relazionale che avviene tra di loro.

In sostanza Muran e Eubanks fanno leva sulla regolazione emotiva, molto ben descritta nel libro, e sulla metacomunicazione, ovvero quel processo di indagine collaborativa in cui entrambi gli attori assumono la posizione di osservatori esterni delle dinamiche relazionali che stanno avendo luogo.

In tutto questo i terapeuti si trovano a far fronte a emozioni molto intense e faticose da gestire, come rabbia, noia, ansia e tristezza che potrebbero a loro volta attivare i propri schemi e cicli interpersonali, alimentando ulteriormente lo stato di sofferenza del terapeuta.

Per gestirle, onde evitare ripercussioni personali e sulla terapia, gli Autori offrono, all’interno del volume edito Raffaello Cortina, diversi strumenti inerenti la formazione, la supervisione, la gestione dell’autocritica e alcune strategie per mantenere la centratura del terapeuta.

Bibliografia

Muran J. C., Eubanks C. F. (2022). Il terapeuta sotto pressione. Riparare le rotture dell’alleanza terapeutica. Raffaello Cortina.

Safran, J. D., & Muran, J. C. (2000). Teoria e pratica dell’alleanza terapeutica. Laterza

Semerari A. (2022). La relazione terapeutica. Storia, teoria e problemi. Laterza.

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Vittorio Arrigoni
Psicologo, Psicoterapeuta Cognitivo Costruttivista Relazionale in formazione e cofondatore di Cultura Emotiva. Lavoro all'interno di una Comunità Terapeutica per adolescenti con disturbi psichiatrici. Sono insegnante di Mindfulness e insegnante di MBCT (Mindfulness Based Cognitive Therapy) per la depressione, titoli che ho acquisito, dopo anni di pratica meditativa, attraverso il Master di Mindfulness in ambito clinico diretto dal Prof. Fabrizio Didonna. La mia passione rimane tuttavia la Mindfulness in relazione, ambito nel quale ho conseguito un diploma sotto la supervisione di Anne Overzee e Deirdre Gordon, docenti senior del Karuna Institute (UK). Sono anche insegnante in formazione di Mindful Self-Compassion (MSC), avendo frequentato il primo teacher training organizzato in Italia in collaborazione con il Center for Mindful Self-Compassion. Tra le esperienze più significative della mia vita ho vissuto a Cipro per cinque mesi frequentando l’University of Cyprus (UCY) durante il mio Erasumus. Le persone che ho incontrato mi hanno infuso un profondo senso di abbondanza, condivisione e comunità del quale desidero rendere tutti compartecipi. Contatti: v.arrigoni6@campus.unimib.it

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